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Partenza: Vegni (mt. 1044)
Arrivo: Mulino Gelato, Rio dei Campassi (mt. 848)
Tappe intermedie: Sella dei Campassi (mt. 1142) Casoni di Vegni (mt. 1045), Ferrazza (mt. 1110), Reneuzzi (mt. 1078)
Lunghezza percorso (a/r): 18,06 km
Tempo di percorrenza (a/r): 6 h. circa
Dislivello complessivo:1125,06 mt.
Segnavia: bianco-rosso num. 242
Quando lo scorso anno, ad agosto, avevo visitato per la prima volta i Villaggi di Pietra della Valle dei Campassi, non sapevo a cosa sarei andato incontro: avevo visto qualche foto su internet e nulla più, tanto che la curiosità mi assaliva a mano a mano che percorrevo il sentiero. Ora, ad un anno di distanza, ci ritorno in condizioni decisamente diverse: oltre ai Villaggi di Pietra, ho avuto modo - nel frattempo - di visitare tutti gli altri paesi abbandonati dell'appennino delle quattro province e mi sono ormai fatto una cultura in materia di "ghost town" che potrei quasi scriverci un libro.
Questa volta con me c'è Francesca, ci tenevo a farglieli visitare: è una delle escursioni più affascinanti che si possono fare nella zona, se non altro per quel non so che di storico e misterioso che si intrecciano camminando lungo il percorso. E poi sono curioso di vedere, ad un anno di distanza, cosa è cambiato. Come procede l'abbandono? Che poi equivale a dire: per quanti anni potremo ancora ammirare questi paesi abbandonati? Al termine del nostro giro, la risposta.
Scena già vista, il ritrovo a Cantalupo, con Francesca che scende le scale del panettiere: oggi si è superata e ne ha girati ben tre, racimolando comunque solo pochi pezzi di focaccia e qualche torcetto. Io ho tutto il resto, vino compreso. Arrivati al bivio per Vegni, prendiamo la stradina che scende sulla destra e ci fermiamo con la macchina sul ponte (ponte....?) che precede la salita al paese, per scattare una foto di questo luogo così strano. Non si direbbe, dall'inizio della strada, ponte compreso, che Vegni possa essere un così bel paesino. Quando ci arriviamo, parcheggio davanti alla bacheca che segna l'inizio dei percorsi escursionistici e ci prepariamo per la partenza della nostra escursione: scarponi, zaino, bastoncini, gps acceso e si va.
Seguiamo la strada asfaltata che passa in mezzo alle case, in direzione della chiesa, mentre un cagnolone - chiuso in un cortile - ci abbaia svegliando tutto il paese, poi proseguiamo in direzione del cimitero, ma restando leggermente più in alto, fino a un punto in cui la strada diventa sterrata. Qui ci troviamo in corrispondenza di una biforcazione del sentiero: il numero 245, che scende al Mulino di Agneto, quindi raggiunge Croso e la sella est del Monte Antola, scende sulla destra, mentre il 242, che seguiremo oggi, sale alla volta dei Villaggi di Pietra.
Un anno dopo, la prima novità è ben visibile: i cartelli con le segnalazioni, senza dubbio, ma anche un percorso attrezzato, scandito da una staccionata in legno che, dalla partenza del sentiero, conduce fino alla Sella dei Campassi. Lungo la staccionata, sono poste delle tavolette informative sulla vegetazione presente nel bosco e sulla natura della Sella dei Campassi, con le indicazioni in braille per i non vedenti. La mulattiera vede la presenza di alcune pozzanghere, pare che qui ieri abbia piovuto e sale dolcemente - con belle viste di Agneto - fino ad un punto in cui si abbandona la sterrata per salire, a destra, sempre seguendo la staccionata, alla Sella dei Campassi (1142 mt.), meraviglioso punto panoramico, dove è stata posizionata una panchina.
La visuale è stupenda: la Valle dei Campassi, in tutta la sua imponenza, si apre davanti ai nostri occhi, dominata dalla cima dell'Antola sulla quale risalta la croce bianca, visibile anche ad occhio nudo. Sul versante di fronte a noi, i tre piccoli borghi di Campassi, Croso e Boglianca. Scatto una foto panoramica, poi mettiamo la macchina fotografica sulla panchina per farci un autoscatto e quindi imbocchiamo il sentierino che, in discesa, percorre i numerosi versanti del Monte Carmetto.
Il sentiero è ancora curato e ben tenuto, esattamente come un anno fa, fatta eccezione per qualche piccola frana che lo ha invaso e qualche rio che in periodi di piena ha trascinato un po' di sassi in mezzo al passaggio. Dopo circa 40 minuti di cammino in leggera discesa, con qualche scorcio sui paesi di Croso e Campassi, ecco comparire di fronte a noi l'austero profilo della prima casa di Casoni di Vegni, il primo dei tre paesi fantasma e, una volta girato l'angolo, ci troviamo di fronte il resto del paese.
Andiamo a curiosare dentro alle porte aperte delle case che sono rimaste in piedi, più che altro stalle, che solitamente venivano realizzate ai piani terreni delle abitazioni, mentre ai piani superiori è impossibile salire. All'interno, mangiatoie realizzate con assi di legno e attrezzi da lavoro dell'epoca, oltre a sabbia, mattoni e altro materiale. Il soffitto di alcune case dà un'impressione di maggior sicurezza e in una di queste Francesca entra a farsi scattare una foto nascosta dietro alla grata di una finestra. Qualche altro soffitto è invece più pericolante e decidiamo di non avventurarci. Le porte sono aperte esattamente come lo scorso anno, ma rispetto a un anno fa, la cosa che balza subito all'occhio addentrandosi tra le case è che ci sono stati alcuni crolli, la maggior parte fortunatamente verso l'interno, che quindi non sono andati a intralciare il sentiero, che cammina stretto su di un ripido strapiombo, con solo gli alberi sotto. Resistono stoicamente le due case delle quali è rimasto in piedi solo un pezzo di facciata: la prima, con un pezzo di muro stretto e alto e la seconda, della quale è rimasta in piedi la parte di facciata sopra al portone, con una finestrina con ancora qualche vetro e un comignolo in alto. Alle loro spalle, si sono registrati alcuni crolli, mentre poco più avanti resiste ancora la casa senza più finestra ma con una persiana, che già avevo visto e fotografato un anno fa. Al centro del paese, in corrispondenza della salita della strada verso Ferrazza, è stato posto un cartello con il segnavia, piccola novità. Noi prima di lasciare Casoni vogliamo ancora curiosare un po' tra i ruderi: vedo Francesca molto interessata, aggirarsi tra le case e mettere il naso dentro a tutti i portoni, incuriosita da questo paesino fantasma tutto in pietra. Vicino alla grande casa davanti alla quale passa il sentiero, passa un altro sentierino che si addentra tra le case del paese, in alto: non distante da qui, un pozzo ancora pieno d'acqua e una casa con un arco in pietra sotto al quale c'è un portone semiaperto, dove ci avviciniamo per guardare dentro ma senza entrare, perché ci sembra decisamente pericolante. Dentro ad una porta aperta, un vecchio mobile in legno sul quale venivano appoggiati i formaggi fatti con il latte prodotto dagli animali, vicino a una mangiatoia. In un altro portone, quel che resta di una specie di panchina e i cassetti di un armadio, mentre sullo sfondo i muri iniziano ad aprirsi, come possiamo vedere dalla luce che entra non solo dalla finestra. Più avanti solo ruderi visti dall'alto, così torniamo indietro e sulla casa davanti alla quale passa il sentiero, qualcuno si è divertito a spaventare gli escursionisti appoggiando, sull'ingresso di casa, il teschio di un animale (forse un cinghiale?). Francesca, che lo vede per prima, non cade nello scherzo e si limita a chiamarmi per farmelo vedere, senza lanciarsi in urla isteriche di spavento. Una vera "dura"!
Casoni è il paese che più ha rapito la nostra curiosità: le case, alcune delle quali ancora in piedi, hanno al loro interno ancora le stalle e gli arredi dell'epoca, oltre ad essere costruite con suggestivi lavori in pietra. Ci siamo fermati parecchio a curiosare, ma ora dobbiamo ripartire alla volta del prossimo paese abbandonato.
Abbandonato non del tutto, poi: perché Ferrazza, che raggiungiamo dopo circa venti minuti dopo una bella salita da Casoni, è un paese in parte ancora abitato, come già avevo detto in occasione della prima visita: qui qualcuno si prende ancora cura di una casa, mentre su molte delle abitazioni c'è scritto di non avvicinarsi per il pericolo di crollo, cosa che sicuramente fa capire che qui, i proprietari ci sono ancora. Pare che qui, ora, abbiano intenzione di costruire anche una specie di rifugio. L'arrivo a Ferrazza, che scorgiamo in lontananza dal sentiero con le sue case ammassate l'una sull'altra con i tetti rossi, in un punto in cui la vegetazione ha lasciato spazio ai prati, è preceduto dallo spazio un tempo occupato probabilmente da una vasca dell'acqua con una fontana. Giunti in paese, ci mettiamo sotto ad una capanna dove c'è un tavolino con delle sedie, accanto ad un armadietto e a un vecchio mobile che serviva per la conservazione del grano. Apriamo gli zaini e ci concediamo una veloce colazione di metà mattina, con un pezzo di focaccia e un bicchiere di vino, poi gironzoliamo per Ferrazza alla ricerca di qualche foto da scattare. Diciamo che qui, rispetto ad un anno fa, non è cambiato nulla, ad eccezione del cartello bianco-rosso con le segnalazioni per gli escursionisti. In alto, sopra alle case, c'è sempre la vecchia teleferica. Le case, fatta eccezione per qualcuna in peggiore stato (ma sono davvero poche quelle crollate o prossime al crollo), sono tutte ancora in condizioni accettabili. Tra le uniche cose degne di nota, un vecchissimo balcone in legno che perde poco a poco tutte le assi, qualche strana finestrella dietro alla quale si vede ammassata la legna e la porta in legno di uno stanzino aperta, dentro alla quale, appena metto il naso, vedo un gran disordine e, a terra, un lungo scheletro di un animale (un capriolo? un cinghiale anche qui? dal pelo grigio/marrone che vedo a terra, sembrerebbe trattarsi di un cinghiale..ma non escludo altre ipotesi), piuttosto inquietante a dirla tutta.
Ferrazza è tutto qui, anche Francesca lo guarda con meno interesse, perché non ha molto di misterioso. Proseguiamo oltre e superate le ultime case del paese, il sentiero transita di fianco ad un lavatoio del 1906 accanto al quale è stata posizionata una statuetta della Madonna. Un'altra breve salita, poi una discesa e dopo pochi chilometri, ecco comparire di fronte a noi, alla fine del sentiero, l'inconfondibile cimitero di Reneuzzi con la sua porta aperta. Bastano pochi passi in avanti, ed ecco comparire accanto al cimitero, il campanile a vela dell'Oratorio di San Bernardo: tiro un sospiro di sollievo, avevo paura che fosse caduto durante l'inverno a causa del peso della troppa neve.
Una foto sorridenti davanti al cimitero e alla chiesetta, quasi a voler esorcizzare tutte le tristi leggende che ruotano attorno a Reneuzzi (e ampiamente raccontate nella scheda della mia prima visita ai Villaggi di Pietra), poi entriamo nel cimitero, dove tutto è come un anno fa, fatta eccezione per un mazzo di fiori gialli davanti alla tomba di Davide Bellomo, il protagonista della leggenda di Reneuzzi. Le altre tombe, in tutto, saranno una decina e portano quasi tutte il cognome Bellomo. Molti sono bambini, che ai tempi morivano spesso dopo pochi mesi di vita. Si tratta per lo più di persone decedute intorno agli anni 50 del XX secolo, le più longeve delle quali erano nate intorno al 1870. Francesca incuriosita scruta il piccolo e inquietante cimitero e mentre siamo qui sentiamo un gran vociare: c'è gente a Reneuzzi, cose da non credere. "Che sfiga", ci diciamo, "trovare gente in un paese abbandonato!", poi usciamo e ci spostiamo in direzione dell'oratorio di San Bernardo, davanti al quale qualcuno ha portato una vecchia "lesa", una slitta di quelle usate per trasportare la legna. La chiesa ha un aspetto migliore dell'anno scorso: pare che siano state tolte le numerose erbacce che ne infestavano il tetto e i locali della sacrestia, tanto che ora attorno all'oratorio l'illuminazione da parte del sole è nettamente migliorata, ma in realtà la migliore illuminazione è dovuta semplicemente al crollo di un muro della sacrestia.
Mettiamo il naso dentro alla porta della chiesa, buia, ed ecco comparire di fronte a noi l'altare - abbastanza vicino al crollo, da quello che vedo - con una croce in legno al centro. L'altare e le pareti dietro di lui sono pitturati con degli affreschi rossi, molto particolari. A terra numerosi calcinacci, la navata di sinistra si caratterizza per un arco che dà verso i locali della sacrestia, accanto al quale si trova un immagine sacra con un'altra piccola croce, mentre sulle pareti della navata di destra si può scorgere un disegno poco chiaro, sicuramente fatto da qualche vandalo. La sacrestia è in parte crollata, mentre lo scorso anno pareva che le sue pareti fossero ancora in piedi. Molto inquietante la chiesetta, ma davvero imperdibile.
Proseguiamo verso le altre case di Reneuzzi, mentre il vociare delle altre persone si fa sempre più forte: superati alcuni ruderi, li troviamo seduti sulle panchine che sono state posizionate nella vecchia "piazza" del paese, altra novità rispetto allo scorso anno, vicino alle quali si trova ora una bacheca in legno con indicazioni sul percorso. Li salutiamo e andiamo oltre, fermandoci a curiosare all'interno di una casa con la porta aperta: dentro possiamo vedere un mobile in legno e numerosi secchielli e poco oltre questa casa, ritroviamo la costruzione con la caratteristica forma arrotondata per il passaggio delle slitte trainate dai muli, nei pressi della quale il sentiero si biforca: percorriamo pochi metri del sentiero 243, ora segnalato, per vedere le case in quella direzione (poche, quasi tutte crollate, fatta eccezione per una casa accanto alla quale si distingue ancora un bel terrazzo, una specie di ballatoio), poi ritorniamo sui nostri passi e scendiamo in direzione opposta, tra le case crollate, in direzione del Rio dei Campassi.
Avremmo voluto curiosare di più nelle case di Reneuzzi, ma le persone che abbiamo incontrato, ora davanti a noi, ci stanno rubando la tranquillità necessaria per farlo: neanche ce lo diciamo, io e Francesca, ma ci leggiamo nel pensiero ed entrambi decidiamo di andare dritti verso il rio e di curiosare nelle case al ritorno, quando non ci sarà nessuno.
La discesa al rio è lunga e faticosa: il caldo si fa insopportabile e sui sassi bagnati si scivola sempre di più. Neanche iniziare a sentire il rumore dell'acqua che scorre in lontananza ci fa stare meglio, tanto è umida questa giornata. Arrivati al fondovalle, non vediamo che il sentiero 242 prosegue e con un po' di fatica guadiamo il Rio dei Campassi che oggi è pieno d'acqua come non mai, nettamente più dello scorso anno. Dai sassi posizionati attorno alle cascate, scatto una bella foto panoramica del lago, poi ci rimettiamo in cammino, sulla sponda opposta, in direzione dell'area attrezzata dove lo scorso anno avevo pranzato, nei pressi dei Mulini del Rio dei Campassi. Arrivati, togliamo lo zaino e ci sediamo su di un tronco: siamo stravolti e sono quasi le 14! Alla faccia del giro breve che avevo proposto a Francesca....
Ci asciughiamo il sudore dal volto, una sorsata di vino e siamo pronti a pranzare. Fa così caldo che non abbiamo nemmeno tanta fame, così ci limitiamo a un po' di focaccia col Montebore e a un po' di cioccolato, giusto per recuperare le energie perse. Rimaniamo un po' a parlare, lei voltata verso il rio ed il Mulino, io voltato verso di lei, poi dopo mezz'ora circa dal nostro arrivo, ci rialziamo pronti a metterci in marcia: la strada è ancora tanta e la salita da qui a Reneuzzi sarà durissima.
Poco distante dalla nostra area di sosta, ecco un bel ponticello - che l'anno scorso non c'era - che attraversa il Rio dei Campassi e conduce davanti al Mulino Gelato, in uno stato decisamente migliore rispetto ad un anno fa: allora neanche si vedeva, a momenti, oggi è tutto pulito dalla vegetazione e tirato a lucido, tanto che non ricordavo fosse così bello. Dopo un autoscatto davanti al Mulino, attraversiamo il ponte e diamo un'occhiata dentro, dove è ancora visibile una macina con altri oggetti, ma non è opportuno avvicinarsi perché - come mi fa notare Francesca - manca un pezzo di pavimento e non sarebbe bello finire al piano di sotto (o nel rio, peggio ancora...!). Ripartiamo sul sentierino 242 che ha già raggiunto il versante opposto della montagna, camminando a pochi metri di altezza dal rio, le cui acque sono così limpide che a lei viene voglia di tuffarsi dentro. Davanti a noi, due ragazzi con lo zaino, ci chiedono come attraversare il rio, poi iniziamo la lunga e interminabile salita verso Reneuzzi, attraverso stretti e ripidi tornanti. Ci fermiamo spesso a respirare, questa salita subito dopo il pranzo non ci voleva e soprattutto, il caldo e l'afa sono insopportabili. Alterniamo pause ad alcuni brevi tratti silenziosi, impegnati a sopportare questa grande fatica, poi - finalmente - giunti ad un certo punto del sentiero, un po' d'arietta più fresca ci viene in soccorso, consentendoci almeno di respirare. Poco alla volta riprendiamo a parlare, a ridere e arriviamo così a Reneuzzi, che a quest'ora del pomeriggio è baciato da un caldissimo sole. Facendo attenzione a dove infiliamo i piedi, ci addentriamo tra le case, scattando qualche foto. Noto subito che la casa più grande del paese - l'ultima prima della discesa verso il rio - è ancora in piedi così come anche regge il suo balconcino in legno. Accanto ad essa, da una finestra in parte crollata, si può sempre intravedere all'interno di una casa un forno, così come - poco più avanti - c'è una stalla all'interno della quale si vedono ancora gli attrezzi usati per dare da mangiare alle galline. Così, ad occhio, mi sembra di non notare molte differenze tra i ruderi di Reneuzzi (perché di ruderi si tratta: sono rimaste in piedi praticamente solo due case, oltre alla chiesa) rispetto all'anno passato, fatta eccezione per delle date che sono comparse sui sassi di ogni casa, pitturate quasi a volerne identificare l'anno di costruzione. Nella casa dalla forma arrotondata, noto un incavo ricavato nel muro per ospitare probabilmente una Madonna, che al tempo non avevo notato.
Dopo aver scattato un po' di foto, torniamo nella piazza del paese, ora addobbata con le panche in legno. Togliamo gli zaini e ci fermiamo un attimo a riposarci, notando un altro attrezzo agricolo lasciato poco distante dai tavoli di legno. Mentre Francesca si rilassa sulla panchina, leggo sulla bacheca in legno la storia del paese, che da quello che qui si dice arrivò a contare, nel suo periodo più popoloso, circa 300 abitanti. Pazzesco.
Ritroviamo la forza per metterci in marcia e da qui in poi, dopo esserci lasciati alle spalle anche la chiesa e il cimitero, iniziamo una lunga camminata senza più soste - fatta eccezione per una brevissima a Ferrazza - durante la quale io e Francesca parliamo a lungo, quasi senza accorgerci della strada che facciamo. Ora ci siamo un po' ripresi e il sentiero, più pianeggiante, lascia spazio anche a dei bei panorami sulla Valle dei Campassi e sui paesi del versante opposto.
La giornata è stata intensa, ma piacevole. Anche lei sembra contenta del giro che abbiamo fatto. Ma qual'è il destino dei Villaggi di Pietra? Per quanto potremo ancora ammirarli?
Ho notato che la Regione e la Provincia hanno puntato molto su questo itinerario, completandolo con il percorso attrezzato, con le tavole didattiche e la segnaletica, dall'inizio fino al Mulino Gelato. Certo che il futuro dei tre paesi fantasma non sarà infinito: le case poco alla volta crollano. Il ghiaccio, la neve, il vento lasciano il loro segno e ogni anno che si torna, si trova sempre qualcosa di meno. A dire il vero, ad occhio nudo mi sembrava che mancassero molte cose rispetto all'anno scorso, soprattutto a Casoni di Vegni, ma quando ho confrontato le foto, ho potuto vedere che il bilancio non è poi così drastico e Casoni rimane un paese fantasma che incuriosisce. Lasciando da parte Ferrazza, che con il suo rifugio da costruire diverrà il vero centro ricettivo dell'itinerario, Reneuzzi mantiene intatto il suo fascino grazie a due cose: la leggenda che lo pervade e quell'arrivo sul sentiero preannunciato dal cimitero e dal campanile a vela dell'Oratorio. Ad essere sincero, oltre questo c'è molto poco: le case sono ridotte quasi tutte a cumuli di macerie e non si può intuire molto della vita che fu tanti anni fa. Per qualche anno, molto probabilmente potremo ancora godere di questo bel percorso escursionistico, sperando che la natura rimanga clemente. Certo che a meno di una manutenzione, queste strutture sono destinate a franare e, prima o poi, ad essere inghiottite dalla natura.
Arriviamo alla Sella dei Campassi e ci fermiamo ancora un attimo a bere e a guardare il panorama. Siamo quasi sfiniti, ma dopo un momento di difficoltà verso metà percorso, ora ci siamo ripresi del tutto e abbiamo riso e scherzato per buona parte del viaggio di ritorno. Lasciamo la Sella dei Campassi per percorrere l'ultimo tratto di sentiero, verso Vegni, in discesa e facciamo il nostro ingresso in paese incontrando ancora il grosso cane di questa mattina, che ora ci guarda senza batter ciglio. Poco più avanti, vediamo uscire da una casa le persone che abbiamo incontrato a Reneuzzi: era gente di Vegni che aveva fatto un sopralluogo a Reneuzzi, come probabilmente fanno ogni anno. Appoggiamo lo zaino alla macchina e ci dirigiamo verso il lavatoio che c'è al fondo del paese, mentre i vegnini si salutano prima di tornare a casa, dandosi appuntamento alla festa del paese. Perfino una ragazza si avvicina a chiederci se siamo "gli amici di Marisa", ma no, non lo siamo. Siamo due pazzi che sono partiti convinti di fare una decina di chilometri e ne hanno fatti più di 18, alla fine, due pazzi che hanno faticato tanto ma che alla fine sono soddisfatti del buon allenamento e della bella giornata passata insieme. Io, in particolare, sono proprio soddisfatto. Sarà anche ingestibile, Francesca (ho sentito che me l'hai rinfacciato, cara Fra..), ma con lei sto bene e mi diverto. Riempio la bottiglia d'acqua alla fontana e gliela lancio. Lei è seduta sull'altalena, mentre una signora la guarda dalla finestra. Mi si avvicina mentre sto bevendo, quasi a implorarmi di aprire la macchina. Le apro, lei si siede al posto del passeggero mentre mi cambio gli scarponi, poi salgo e ripartiamo. Oggi non dorme, è sveglia e presente anche nel viaggio di ritorno: parliamo e ridiamo fino alla fine. Anzi, siamo così in sintonia che abbiamo gli stessi programmi per la serata: una bella dormita sul divano non ce la toglie proprio nessuno.....
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