mercoledì 12 giugno 2013

Paesi fantasma: Rivarossa



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Partenza: Loc. Le Baracche (mt. 365)
Arrivo: Rivarossa (paese abbandonato, mt. 738)
Lunghezza percorso a/r: 3,9 km
Tempo di percorrenza (a/r): 2 h circa
Dislivello complessivo: 389 mt.
Segnavia: bianco-rosso 208/208a




Manca poco al completamento del mio viaggio alla scoperta dei paesi fantasma dell'appennino delle quattro province: almeno per quanto riguarda l'area della Val Borbera/Sisola, ne mancano solo più due. Oggi andrò alla scoperta di Rivarossa, un minuscolo borgo abbandonato sulle montagne sopra al paese di Pertuso, in val Borbera. Proprio sopra alle famigerate "strette di Pertuso", in un territorio già particolare per via della sua conformazione e che, come se non bastasse, ospita anche una perla nascosta: Rivarossa.
E' prevista pioggia tutto il giorno, ma stranamente il tempo sembra essere clemente e a parte un po' di cielo grigio, per il resto non sembrano esserci particolari minacce. E allora si va.
Pertuso è un paese della Val Borbera che si trova lungo la SP140. Il borgo abbandonato si raggiunge con un sentiero che parte dalla località Le Baracche, nei pressi della casa cantoniera e del "Pub delle Strette": l'unico problema è che l'inizio del sentiero, peraltro indicato con un cartello, è poco visibile, quasi nascosto, soprattutto se arrivate da Pertuso. Quindi non fate come me, che ho girato venti minuti cercando disperatamente di imbattermi in una segnalazione ben visibile: il consiglio è di parcheggiare l'auto nei pressi del pub, poi incamminarsi a piedi in direzione di Pertuso: ci sbatterete praticamente incontro dopo poche decine di metri.
Il cartello che annuncia l'inizio del sentiero è bianco-rosso e reca il numero 208, pitturato anche su di un albero. Un'ora, per arrivare a Rivarossa. Il sentierino è strettissimo e sale tra i rami degli alberi, regalando - nei primi metri - una vista sulla sottostante strada provinciale, sul pub e sulla casa cantoniera da cui sono partito, oltre che sulle particolarissime montagne che qui si incontrano a formare le strette. La partenza è subito impegnativa: si sale subito, e non poco. Sarà così per tutto il percorso. Tuttavia, nonostante la stradina sia così stretta da non poter ospitare due persone una accanto all'altra, è un itinerario più che piacevole. La mia attenzione si concentra subito sulla particolare terra che compone queste montagne: è arancione, del colore dei mattoni, quasi rossa. Forse da qui deriva il nome Rivarossa, chissà. E quante formiche su questo terreno: credo di non averne mai viste così tante, e così grandi soprattutto. Oltre al particolare tipo di terreno, la seconda caratteristica del sentiero sono i sassi: il sentiero, dopo la prima parte, diventa sassoso e la salita così è più piacevole, perché permette di utilizzare le grandi pietre come delle specie di gradini, attraverso cui salire più agevolmente. Ma non fatevi ingannare: sempre di salita si tratta, e pure faticosa.
Vedo in lontananza dei cartelli, ci deve essere un bivio poco più avanti. Quando lo raggiungo, dopo circa dieci minuti di cammino, mi trovo a dover scegliere da quale parte salire: il sentiero numero 208 prosegue in salita dritto davanti a me, mentre sulla sinistra, il sentiero numero 208a attraversa il bosco leggermente più in piano. Entrambi portano a Rivarossa: il 208 in circa 35 minuti, il 208a in 45 circa. Inoltre, salendo oltre Rivarossa, in un'ora circa, si potrà raggiungere il Monte Barillaro. Ci penso un attimo, poi decido di proseguire dritto tenendo il sentiero numero 208, forse perché sembra essere il più veloce. Sapete, ho già preso un bel temporale ieri e ci terrei a non replicare la lavata, visto che le previsioni di oggi sono non nere, ma nerissime.
Dopo il bivio, la presenza di pietre si fa sempre più marcata e il sentiero, che sale sempre più decisamente, sembra fatto a scalini. Sto camminando praticamente dentro a una conca scavata nella montagna, tanto che il caldo, qui dentro, è insopportabile: manca quasi l'aria. Per fortuna che dopo un po' il sentiero esce sulla costa della montagna e almeno qui si sente un po' di fresco.
Finalmente rivedo il cielo, grigio tendente al nero e posso far spaziare la mia vista su di un panorama che, via via che si sale, diventa sempre più ampio. Vedo le montagne davanti a Pertuso, per me praticamente sconosciute. Vedo il corso del torrente, il Borbera, che svolta sulla sinistra in corrispondenza di Borghetto Borbera, del quale intravedo i primi tetti delle case. Intanto il sentiero 208 continua a salire, questa volta all'aperto, e dopo una curva mi si apre anche la visuale sull'alta Val Borbera. Vedo Volpara, vedo Figino e distinguo chiaramente le antenne del Monte Giarolo e il Monte Panà, che da qui sembra quasi pianeggiante. Voltandomi, riesco ad avere anche una bella visuale del Tobbio, con la sua caratteristica forma piramidale.
Per un attimo ho l'impressione di essere quasi arrivato, anche perché i 35 minuti indicati dal cartello sono già passati, e se non lo sono poco ci manca. Il sentiero, che taglia un prato, sembra quasi preannunciare l'arrivo alla meta del mio viaggio. E invece no, perché si rientra in una specie di boschetto e capisco che ce ne sarà ancora per un po'. Ma ormai è questione di minuti. A un certo punto, tra le piante, vedo in fondo allo stretto sentierino il muro di una casa: finalmente, sono arrivato a Rivarossa.
Procedo con la curiosità di un bambino che sta scartando un regalo. Nonostante il senso di smarrimento che provoca ogni volta visitare un paese abbandonato, ora a prevalere è la curiosità. Curiosità per quello che troverò, per quello che vedrò, per il ricordo che mi rimarrà di questo borgo fantasma.
Va però detto subito che nonostante il tempo non sia dei migliori - e quindi in un certo senso "ideale" per visitare un paese abbandonato - Rivarossa si visita con più tranquillità d'animo. Anche qui le case sono in parte diroccate, anche qui c'è il segno della natura che riprende i suoi spazi a discapito dell'uomo, ma il paese si trova in un ampio prato che permette quasi di respirare. Non si visita con quell'affanno che ti viene, ad esempio, quando sei a Reneuzzi o ad Avi, dove sembra che le case possano crollare da un momento all'altro, dove sembra che gli alberi ti tolgano il fiato.
Della prima casa che si incontra entrando in paese, ben poco rimane. Solo alcuni ruderi dei muri e delle caratteristiche finestre dagli angoli smussati, mentre poco più avanti una specie di muretto è tutto quello che rimane di quella che, probabilmente, era un'altra casa. Da qui, guardando avanti, dietro a un grande albero (una noce?) salta immediatamente all'occhio una grande casa, in parte sventrata, che ricorda un po' la grande casa di Camere Nuove. Sul lato che si affaccia verso la Val Borbera, la casa - in pietra, come tutte le altre - è ancora integra, mentre sul lato che dà verso le altre case è crollata e coperta dalle piante, che stanno crescendo ormai al suo interno. 
Avanzando per avvicinarmi, mi ritrovo praticamente nel bel mezzo di uno spiazzo, circondato da ruderi di case. Sembra la piazzetta del paese, oppure un grande cortile. Accanto a me, un'altro rudere, con muri sottili ed il tetto ancora integro ma pericolante, sventrato su di un lato: all'interno si vedono ancora pezzi dei pavimenti e dei soffitti. Di fianco, i ruderi di un'altra casa, senza più il tetto. Mi avvicino per scattare delle foto e vedo che all'interno ci sono ancora ben visibili le scale che portavano al piano superiore.
Tra tutti questi resti di muri e ammassi di pietre, stona quasi una bella casetta con il tetto rifatto da poco, la porta verde e delle belle finestre: è la casa di Rivarossa che è stata recuperata dal CAI di Novi Ligure che l'ha trasformata nel "Bivacco Alda e Carla Marchesotti". Apro la porticina verde ed entro: l'interno del rifugio è accogliente, tutto in pietra con tavoli e panche di legno. C'è perfino un bel camino e dei divanetti rossi. Alle pareti, oltre ad una bella cartina della zona con le indicazioni di tutti i sentieri (faccio una foto: il mio obiettivo è farli tutti. E dico tutti.), ci sono anche delle immagini che ripercorrono le operazioni di ristrutturazione del bivacco e un articolo de "La Stampa" che parla di Rivarossa e del suo rifugio. Proprio bello.
Sul tavolo, una bottiglia di vino con delle gocce cadute poco distante: qualcuno deve essere passato da poco. C'è anche una busta trasparente, con un quaderno di viaggio dove lasciare il proprio saluto e un pensiero. Scrivo due righe e faccio una bella foto dall'interno del bivacco, con il quaderno e la bottiglia in primo piano, e sullo sfondo, sfocato, la porta aperta sui ruderi delle case di Rivarossa. Tra le tante foto che ho fatto, in anni di escursioni, questa è una di quelle che mi piace di più. Rappresenta perfettamente lo spirito con cui mi avvicino a questi luoghi, lo spirito con cui cammino alla scoperta di nuove realtà.
Lascio il bivacco chiudendomi la porta alle spalle e fermo sulla scaletta scatto ancora delle immagini a tutti i ruderi che mi circondano. Ai piedi della scaletta che conduce al bivacco, ecco arrivare il sentiero numero 208a, l'alternativa che avevo deciso di non seguire durante il mio tragitto. Scendo per qualche metro per questo sentiero, giusto il tempo di scattare una bella foto al panorama di Borghetto, del fiume e dei tetti di Arquata che spuntano dietro alle montagne. Risalgo tra le case, nella piazzetta, in corrispondenza delle segnalazioni del CAI: il sentiero prosegue tra le case e a solo pochi minuti a piedi c'è da visitare la Madonnina di Rivarossa. Non posso perdermela.
Salgo tra i ruderi e scopro che oltre la casa di cui avevo fotografato le scale, c'è ancora un'altra abitazione, quasi implosa su sé stessa. Le finestre con le grate di ferro arrugginito sono l'unica cosa ben visibile, perché per il resto, le travi sono crollate portandosi dietro il tetto e gran parte delle pietre che componevano i muri. Salendo oltre il paese, sul lato del sentiero c'è anche una specie di cappelletta, che non mi avvicino a vedere perché avvolta dalle erbacce e dalle piante.
Il sentiero prosegue in salita e dopo pochi passi, sullo sfondo compare già la piccola chiesetta della Madonnina di Rivarossa. Mi avvicino, la chiesetta è bianca, con una croce sulla cima, una campana ed un portico che precede l'ingresso. Sopra al portico, una data: 1981. L'anno in cui sono nato io.
Entro in chiesa: è minuscola, una cappelletta praticamente. Ma l'interno è molto curato, si vede che qualcuno se ne occupa regolarmente. Sull'altare la statua della Madonna con il bambino in braccio. Il soffitto e le pareti sono affrescate e alle pareti sono appese delle cornici che racchiudono immagini in bianco e nero del restauro della chiesetta. Accanto un quadro della Madonna e dei fiori rossi. 
Esco dalla chiesa e voltandomi a sinistra per poco non mi prende un colpo. Sul lato della chiesetta, una staccionata in legno separa da uno strapiombo sulla Val Borbera che, per chi soffre di vertigini come me, non è proprio il posto adatto in cui stare. Però ormai sono qui e non posso non fare qualche foto: così appoggio i bastoncini e lo zaino e, macchina alla mano, mi avvicino e inizio a scattare, trovando anche il modo per qualche autoscatto. Sotto di me, là in fondo, si vede la strada passare e accanto a lei è ben visibile il greto del fiume Borbera. Salendo con lo sguardo, si vedono tanti piccoli paesini, fino a sbattere con gli occhi sul Monte Giarolo con le sue antenne. Il panorama da qui è fantastico.
La stradina sterrata prosegue oltre la chiesetta e la si vede salire su una strana montagna rocciosa che deve essere il Monte Barillaro. Io per oggi mi fermo qui. Rimango ancora un po' ad ammirare il panorama e a godermi questo fantastico silenzio, poi rimetto lo zaino e scendo verso i ruderi di Rivarossa.
Prima di andarmene dal paesino fantasma, mi avvicino alla grande casa per scattare alcune foto dall'interno e vedo che qui, molti di quelli che sono passati, sono entrati a scrivere sulle pareti. Io ora non mi fiderei a farlo, la casa non dà l'idea di essere così stabile. 
Ancora un autoscatto al centro del paese, poi mi rimetto velocemente sulla strada del ritorno. La discesa passa molto più in fretta e la percorro con un buon ritmo, forse perché il tempo sta visibilmente peggiorando. Quando arrivo in prossimità della macchina, il tempo di togliermi gli scarponi e richiudere i bastoncini e iniziano a cadere le prime gocce. Salgo in auto e nel ritorno a casa incontro il diluvio. 
Oggi ti ho fregato, tempo maledetto!!

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