Beh dai, mi sono ripreso piuttosto bene dall'ultima ciaspolata. Ho faticato un po' lunedì, ma da martedì ero già come nuovo, bello incelophanato e pronto all'utilizzo. A lavoro, come spesso succede negli ultimi tempi, tanto da fare e poca testa per pensarci: un occhio sul provvedimento disciplinare che sto scrivendo e l'altro sulle previsioni del tempo del fine settimana.
Sono fortunato, perché quando voglio staccare la spina ho la possibilità di isolarmi dal mondo e di scappare in mezzo alle montagne, nascondermi tra i sentieri e pensare solo a me stesso. E' un po' come mettere la testa sotto al cuscino quando suona la sveglia.
E così, anche se le giornate sono lunghe, quasi infinite, sapere che tra qualche giorno potrò di nuovo tornare là sopra, mi rende felice. Sapere che ci tornerò ancora con Lei mi raddoppia la felicità, mi fa sentire al sicuro.
Ci sentiamo in settimana ed organizziamo: Lei non ha cambiato idea, e ormai non mi stupisce più. Ho capito che camminare le piace davvero. L'appuntamento è per sabato mattina, stessa ora. Stiamo leggeri, solo pane e cioccolata, mi raccomando.
Mi sveglio che c'è già un bel sole e non fa troppo freddo. Per guadagnare un po' di tempo, inizio a montare le ciaspole sotto agli scarponi, visto che ogni volta è un parto di qualche decina di minuti. Spero che Lei stia facendo il suo dovere. Me la immagino in panetteria, piena di sacchetti. Se un po' la conosco, so che non arriverà solo con il pane che le ho chiesto di comprare. Chissà, se anche Lei sta imparando a conoscermi, magari immagina che non manterrò le promesse e non avrò solo il cioccolato nello zaino.
Quando arriva, guida sportiva, per poco non mi stacca lo specchietto parcheggiando. Io rido già. Sale da me e andiamo in Colonia con la macchina, scendiamo veloci e ci prepariamo, ciaspole ai piedi e via. Ah, no, dimenticavo: la colazione.
Lei fruga nello zaino e tira fuori la focaccia dolce. Io sorrido, i miei sospetti erano confermati. Una striscetta soltanto, però. "L'altra si mangia dopo, quando arriveremo al punto in cui ti ho fatto la dedica sulla neve", le dico. Un po' delusa, Lei accetta comunque di rimandare questo attimo di godimento di una mezz'oretta. Recupero un po' della sua fiducia dicendole che comunque nel mio zaino ci sono anche il salame e la fontina.
Partiamo e ripenso immediatamente a come ero ridotto settimana scorsa. Chissà se anche stasera torneremo in quelle condizioni? Mi metto davanti e faccio l'andatura, la mia andatura. Così, per togliere ogni dubbio.
Parliamo poco, all'inizio. La partenza è sempre difficile, perché bisogna mettersi in moto. In tutti i sensi. Nel senso del fisico, che è ancora freddo e arrugginito, ma anche nel senso della confidenza, che si è un po' sbiadita col passare di qualche giorno senza vedersi. E' questione di tempo, però. So per certo che più cammineremo, più le gambe gireranno e quando torneremo, alla fine, mi sembrerà di conoscerla da sempre.
Questa volta la macchina fotografica serve, eccome. Il sole, di fronte a noi, filtra tra i tronchi degli alberi: tra poco potremo farci scaldare per bene, quando usciremo da questo bosco, sperando che non ci sia il vento, là sopra.
Arriviamo al cancello sul versante del Panà, punto stabilito per la colazione. La seconda della giornata. Ci sediamo al sole, in un punto dove non c'è neve, uno accanto all'altra. Lei sembra contenta come una bambina, io non so se lo lascio vedere, ma lo sono più di Lei.
Mi passa le strisce di focaccia dolce, questa volta le finiamo. Cominciano le prime risate, ci scattiamo una foto alle ciaspole con il panorama del Chiappo sullo sfondo, beviamo un sorso d'acqua e ci rimettiamo in cammino. Con la pancia piena si cammina meglio.
La prossima tappa sarà il Rifugio Orsi, ci siamo già stati una volta, insieme. Solo che Lei parlava, parlava, e per poco neanche si accorgeva che accanto a noi non c'erano più prati e alberi ma un rifugio così grande da sembrare quasi un ristorante. Prima di arrivare al Rifugio, facciamo in tempo a riempire le bottigliette d'acqua alla fontana che si trova lungo il sentiero, dove ci fermiamo a fotografare gli strani oggetti di ghiaccio creati dal freddo di queste settimane.
L'ampio prato che precede il Rifugio è totalmente innevato, tagliato a metà da uno stretto sentierino creato dalle ciaspole. Mentre lo attraversiamo, sentiamo alcune voci alle nostre spalle: un ragazzo e una ragazza, con un cane, ci stanno raggiungendo, così li lasciamo passare, trovando una valida scusa per fermarci a tirare il fiato. Arriviamo al Rifugio poco dopo di loro, che sono intenti a leggere il cartellone con la sentieristica. Li superiamo noi, questa volta, mentre sul tetto del Rifugio alcuni volontari del CAI stanno cercando forse di togliere un po' di neve. Arriviamo nei pressi delle fontane del Rifugio e guardiamo la salita di fronte a noi. Da ora in poi si parla poco.
Inizia la salita verso l'Ebro, questa volta la prendiamo bassa. Piano piano, anche se si scivola parecchio, saliamo tra gli alberi, fino ad arrivare ad un punto in cui il sentierino tracciato da chi ci ha preceduto, prende una strana direzione. Sono indeciso se seguirlo, perché il sentiero sale dalla parte opposta. Però vedo gente scendere di fronte a noi e quindi proseguiamo verso la loro direzione. Scelta sbagliata.
Poco dopo, infatti, siamo costretti a tagliare nella neve fresca per riportarci sul sentiero numero 106, che raggiungiamo piuttosto in fretta, nonostante qualche caduta (più sua che mia, ma vabè, per una volta rimango generico). Arriviamo su di un piccolo spiazzo, in mezzo agli alberi spogli, dove ci sono tutte le condizioni per la terza colazione della mattinata. Questa volta cioccolata, con focaccia, of course. Salata, perché Lei non lascia nulla al caso, quando si tratta di mangiare. Ci voleva proprio, anche se è una colazione veloce, questa, in piedi.
Ripartiamo verso il laghetto sotto al Monte Cosfrone, con la spinta del cioccolato. Il laghetto è coperto di neve e di ghiaccio, e il sentierino creato dalle ciaspole ci passa proprio sopra. Chissà quanti sono passati di qui ignorando di camminare su di un lago ghiacciato. Oltre il lago, c'è ancora un tratto tra gli alberi, ma ormai si avvicina l'uscita dal bosco. Iniziamo ad essere stanchi, sbandiamo un pochino. Così, con la scusa, ci fermiamo un attimo a respirare, scoprendo di fronte ai nostri occhi uno spettacolo meraviglioso. I tronchi sottili degli alberi fanno filtrare il sole, e dietro di loro un cielo azzurro leggermente velato di grigio. Ai piedi di ogni albero, un cerchiolino senza neve. Un'immagine da copertina. Io me la immagino già in foto, mentre prendo velocemente la macchina fotografica per immortalare questo spettacolo. Lei, più veloce di me, ha già fotografato tutto. Sono contento che anche Lei rimanga colpita da questi dettagli. "Non sono l'unico scemo", penso.
Quando usciamo dal boschetto, vediamo finalmente vicina la meta. Saliamo dritti, verso la cresta. Il sentierino fatto da chi ci ha preceduto non prevede tornanti per addolcire la salita, purtroppo. Scivolando parecchio, riusciamo comunque ad avvicinarci alla cresta. Quando ci fermiamo per tirare il fiato, Lei nota l'immagine che le nostre ombre creano sulla neve, e mi fa mettere in posa, assieme a Lei, per fare un remake di "Charlie's Angels". Quando si dice la creatività.
Arriviamo in cresta, che spettacolo. Il cielo non è proprio terso, ci sono un po' di nuvole che però non danno fastidio. Anzi, sono belle da guardare, da fotografare. Il mare non si vede, nemmeno le Alpi. Ma chi se ne frega, noi siamo felici. L'ultimo strappetto verso la cima dell'Ebro, poi potrà iniziare il momento più divertente della giornata.
A 1701 metri, stranamente, non c'è vento. Mentre Lei scatta la foto panoramica, io catturo qualche immagine della nebbia tra le valli, tra le montagne. Poi ci facciamo un autoscatto.
E' ora di pranzo, togliamo le ciaspole e prendiamo posto a tavola. Ci sediamo sulla base che sorregge la croce dell'Ebro, con lo sguardo rivolto verso la Val Borbera e il sole che ci illumina i volti. Io ho un compito, aprire il vino: oggi la casa offre un Dolcetto di Dogliani, ci accontentiamo. Lei prepara la tavola, tirando fuori tutti i sacchetti che ha portato via dal panettiere, proprio come l'avevo immaginata questa mattina prima di partire.
Intanto arriva gente - quattro persone - sull'Ebro. Li salutiamo, gironzolano un po' intorno a noi, poi cercano un posto dove pranzare. Si dividono, due da una parte, due dall'altra. Si siedono un po' dove riescono: mi spiace per loro, ma i posti buoni oggi li abbiamo noi. Qui comandiamo noi.
Le cose importanti ci sono tutte: cioccolata, focaccia, vino, pane, salame, fontina, io, Lei, la montagna, il silenzio. Il silenzio lo riempiamo noi con le nostre risate. I nostri vicini di ristorante forse non apprezzano, forse vorrebbero restare tranquilli a godersi questo spettacolo di panorama. Ma che ci vuoi fare, siamo fatti così, noi gente alla buona. Parliamo con la bocca piena. Siamo un po' cattivi, li prendiamo in giro, ridiamo di loro, della loro scomodità.
Se la settimana scorsa la sosta al sole era durata un'ora, oggi non c'è paragone. Due ore e quaranta a mangiare, bere, ridere, scherzare, parlare di tutto, guardare il panorama. Capiamo che il pomeriggio si sta facendo inoltrato quando iniziamo a vedere il sole che si riflette nell'acqua del mare, creando una sfumatura rossastra di fronte a noi. Voglio restare qui, per sempre. Tornateci voi a lavorare domani. Noi stiamo qui.
I nostri vicini si alzano, a fatica. Vorrebbero probabilmente scattare qualche foto con la croce dell'Ebro, ma ci siamo noi in mezzo ai piedi. E non facciamo niente per non dare fastidio, compreso allungare le gambe per entrare nelle loro foto. Stupidi che non siamo altro.
Alziamoci, vah. Quando le nuvole coprono uno spicchio di sole, è sempre il segnale che bisogna alzarsi. Facciamo ancora una foto insieme, ci rimettiamo le ciaspole e apriamo la cassetta posizionata sotto alla croce, da dove estraiamo il quaderno per scrivere un ricordo della nostra giornata. La penna non funziona, niente. Finiamo il vino, proprio mentre arriva un altro ospite sul monte, con il suo misero succo di frutta.
Il viaggio di ritorno è uno dei ricordi più belli della giornata di ieri.
Scendiamo dall'Ebro in preda alla ridarola (sarà il vino?) e ci facciamo ancora qualche foto insieme. Abbiamo quasi quarant'anni, ma ci dilettiamo a fare quello che ai ragazzini di oggi riesce meglio: gli autoscatti.
A casa, quando li rivedrò, ne troverò uno in particolare che esprime alla perfezione la nostra felicità.
Ma non è finita qui. Lei è una creativa, si sa, quindi trova modo di coinvolgere le nostre ombre in un'altra scena da film. Io rido, tra poco mi toccherà ben di peggio: fare il fotomodello coricato sulla neve, con un risultato piuttosto deludente, più simile ad una balena arenata. Con certa gente non posso proprio competere.
Continuiamo a camminare, se ci voltiamo possiamo vedere quanto è diventata piccola e lontana la croce dell'Ebro. Parliamo, e parlando la strada passa senza accorgersene. Per una volta, cammino senza guardare il panorama intorno a me, impegnato come sono ad ascoltare quello che mi dice. Quando parla seriamente mi incuriosisce. Ci sono dei punti del sentiero del ritorno in cui neanche mi ricordo di essere passato.
Arriviamo sul Panà, e decidiamo di fare un sentiero nuovo, per Lei. Scendiamo verso Caldirola, dalle piste.
La discesa dal Panà e difficoltosa, si scivola, ma passa piuttosto in fretta, corta com'è. Poi deviamo a destra e risparmiamo un po' di strada, sbucando direttamente sulla pista numero 4. La pista è battuta, la neve bella, ma non c'è nessuno che scende con gli sci, ormai è tardi, sono passate le cinque. Per precauzione, camminiamo con le orecchie ben dritte, per evitare di essere travolti da qualcuno.
Ma ormai ci siamo, siamo arrivati. Quando si iniziano a vedere le case di Caldirola, manca davvero poco. Dopo l'ultima ripida discesa, vediamo di fronte a noi i fari del gatto delle nevi che sale per battere le piste. "Anche oggi abbiamo fatto tardi", penso. Guardo l'ora: le cinque e mezza. Arriviamo alla Colonia provinciale, ci togliamo le ciaspole e la porto a riprendere la sua macchina. Sta scendendo la sera.
"Allora, ci vediamo sabato?" mi dice Lei mentre ci stiamo salutando.
Io sorrido, e corro a casa a guardare le previsioni del tempo per il prossimo fine settimana.
L'itinerario in breve:
Partenza: Caldirola, Colonia Provinciale
Tappe intermedie: Rifugio Orsi
Arrivo: Monte Ebro (mt. 1701)
Lunghezza del percorso (a/r): oltre 9 km.(Clicca qui per l'itinerario della ciaspolata)
Tempo di percorrenza (a/r): 4 h. 30 min. circa
Com'è piccolo il mondo! E la rete ancora meno. Comunque non era un succo di frutta ma gel Enervit (ancora peggio, in confronto al vostro vino)... ;-) ciao!
RispondiEliminaOrmai saremo marchiati a vita come "i ciaspolatori ubriachi"...ahah..ciao e grazie per aver visitato il blog!
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